PALERMO. Hostel, Paganini come sottofondo musicale e stile decadent chic. Adriano Rizzuto si distingue con Hostel, cocktail bar nel quartiere palermitano della Vucciria che con la firma e l’estro del suo patròn sta facendo parlare molto delle sue peculiarità.
Il locale, che si trova in Via dei Materassai 13 da due mesi, precisamente dal 6 dicembre, propone agli ospiti una particolare filosofia che rivede i parametri del bere bene, puntando all’essenza dei sapori e della semplicità, ma anche e soprattutto le prassi dello stare e del sostare in un bar.
Hostel: il fil rouge con il vecchio mercato palermitano
Il locale, posizionato alla fine della via, si affaccia quasi a Piazza Garraffello, una delle aree della Vucciria che non è casuale e rientra nel file rouge della storia di Hostel. I due piani di cui si compone, ci spiega il barman e patròn Adriano Rizzuto, rappresentano due tipi di “ospitalità alcolica”.
Al piano inferiore infatti vi è un cocktail bar più informale, studiato per chi abbia voglia di una versione alternativa al concept del piano superiore. In quest’ultimo vi sono due sale: la prima, dotata di bancone, è quella dei cocktail; la seconda, alla quale si accede tramite una porta – camino, è la sala dei distillati. Una luce soffusa può inizialmente non far muovere agevolmente l’ospite, il quale si abitua progressivamente all’atmosfera e alla sua intimità.
Le opere di Paganini sono l’unico sottofondo musicale. “La luce rappresenta un richiamo alla luce pittorica di Caravaggio” spiega Adriano “Le opere di Paganini spiegano la collocazione del locale – continua – un omaggio all’inventore dello stile italiano che ebbe suo figlio esattamente vicino piazza Garraffello nell’anno in cui visse a Palermo”.
Nessun cocktail elaborato, nessuna ricetta
Le connessioni semantiche sono più o meno immediate così come precisazioni tecniche. Nessuna ricetta e nulla di predefinito, si tende solo ad avvicinarsi alla migliore realizzazione del cocktail richiesto. Nella sala dei cocktail il bancone perché, come afferma Adriano”non c’è piacere nel bere un cocktail senza guardarne la preparazione”.
La sala dei distillati invece è anche una sala della meditazione. Un menù che, in linea con il background musicale e il Paganini, è un quaderno pentagrammato con delle chiavi di Sol.
Il ghiaccio è homemade, perché nella realizzazione del cocktail è importante bilanciare, scegliere raffreddamento o diluizione.
Ciò presuppone e testimonia uno studio e una cura particolari prima del prodotto finito. Un posto che caratterizza Palermo e che a Palermo non c’era, in cui il barman si fa chiamare Oste.
Il nostro obiettivo è l’unicità dell’esperienza
Non è nelle intenzioni e nel concept del posto stupire con cocktail elaborati o esclusività di ingredienti. Mirare alla semplicità ancestrale del sapore e della consistenza è un obiettivo non facile:
“È stato fare otto passi indietro – dice Rizzuto – senza fare i super-bartender, si torna all’essenza. La gente si è resa conto che la verità sta nell’unicità, ma anche e soprattutto nell’umanità. Va nei luoghi, ad esempio, in cui il cliente beve il risultato di ricette originali e studiatissime. Dopo tre giorni non ricorda cosa ha bevuto. Io vorrei che l’ospite dica di questo posto ‘Lì, ho bevuto il miglior Negroni di tutta la mia vita”.
“Quando vado al ristorante – continua – e uno chef stellato riesce a farti piangere con una pasta all’aglio e l’olio: in tal caso la semplicità diventa l’obiettivo più arduo da raggiungere”.
La sacralità dell’ospite
Valigie per terra, lembi di stoffa strappata, mensole con bicchieri pendenti e candele. Uno stile da salotto antico e abbandonato ma vissuto, in rima con quella che Adriano vorrebbe che fosse l’esperienza del bere da Hostel: “Prediligo un tipo di ospitalità che non è assoluta – afferma– quella per cui si da importanza all’accoglienza, alla cortesia e all’eleganza ma che può anche incutere il timore del rigore e della compostezza”.
“Preferisco parlare di “agire ospitale”, – continua Rizzuto – prendersi cura dell’individuo in quanto uno, in quanto essere umano con la sua visione. C’è chi vede il posto anni Settanta, c’è chi lo vede bohemien, c’è chi lo vede Decadent chic. C’è chi rivede la propria casa di campagna o un luogo vintage. Ogni persona vive questo posto in maniera diversa ma percependo l’intimità per cui tutto ha una logica, dalla musica al parlottare piano, da una voce stridula ad un flash del cellulare che possono rompere l’equilibrio. Gli ospiti qui non sono dei numeri, sono esseri che esprimono la loro unicità”.