CAMPOREALE (Pa). Longevità e poliedricità: il Catarratto secondo Alessandro. Base Marsala per anni; vettore per il Nord dove si effettuavano tagli mai ben del tutto identificati; estirpato spregiudicatamente per dar spazio a Chardonnay, Cabernet Sauvignon e Syrah; per decenni vitigno massivo e quasi insignificante. Parliamo del Catarratto, vitigno a bacca bianca di cui la Sicilia è zeppa: 36 mila sono gli ettari su circa 100 mila. Secondo vitigno più coltivato in Italia dopo il Trebbiano. Oggi la situazione è molto diversa. Le aziende che si cimentano nella produzione di Catarratto lo fanno con particolare scrupolo, realizzando vini dall’indiscusso livello qualitativo. E in quel di Camporeale hanno intuito che c’è un profondo ed indissolubile legame col territorio.
Tre i cloni, tutti dissimili
Dire Catarratto è dire nulla se non fai le specifiche. Innanzitutto tre i cloni: Comune, Lucido ed Extralucido. E tra essi stessi altissima dissomiglianza, molto più che tra i cloni di altre varietà. Il Comune molto produttivo: matura tendenzialmente prima e dona alcol, struttura e profumi agrumati. Il Lucido produce meno, ritarda la sua maturazione e regala sentori speziati. L’Extralucido è una via di mezzo dei primi due: ha più spezie, una spiccata frutta ed è il più fresco di tutti.
Camporeale, territorio elettivo
Da Alessandro di Camporeale, azienda a conduzione bio dall’identità giovanissima con solide radici di famiglia, avevano capito tutto già qualche decennio fa. Tre diverse versioni, tre biotipi di Catarratto, tre differenti zone produttive, quattro diversi vigneti e tre esposizioni solari. Tutte variabili in grado di comporre soluzioni sfaccettate.
Catarratto e Metodo Classico? Si può
Addirittura di uno stesso vigneto la porzionatura: la parte alta destinata al Vigna di Mandranova, quella a valle al Metodo Classico di recente fattura.
«Una scelta obbligata – dice Benedetto Alessandro, enologo di famiglia. È stato come se ce lo avesse chiesto il vigneto stesso. Non avendo irrigazione, lo stress idrico stimola la maturazione. La parte inferiore, invece, rimane sempre con gli zuccheri bassi. Da qui l’idea di fare il Metodo Classico».
Ventisei al momento i mesi sui lieviti (start rifermentazione nel marzo 2017), ma Benedetto fa frequentemente prove e presumibilmente si fermerà attorno ai 30. Si vedrà. Un romantico dégorgement à la volée precede la degustazione.
Ancora pochi i rilievi di fragranza, classici da Chardonnay e Pinot Noir. Non c’è “pasticceria”, dunque, perché in questo caso gli aromi varietali del Catarratto prevalgono tantissimo sulle “croste di pane” e sul “pan brioche”.
La matrice dell’uva predomina sempre. Questa è la potenza del vitigno. Poi corredano seducenti note di pepe bianco, zenzero e macchia mediterranea. Un lieve ricordo amarognolo affiora in retrolfazione: «Sono i tanti polifenoli del Catarratto – ci ricorda Benedetto. Se si sbaglia altitudine si rischia di avere un’amarezza spiccata nel vino».
Benedè, prima annata 2003
È la volta del Benedè, capostipite del Catarratto e vino maggiormente prodotto in casa Alessandro. 2003 la prima annata. Metà Comune e metà Lucido. Dal 2012 vinificazione in “iperriduzione”, ossia sotto azoto. Un vantaggio per via del basso utilizzo di solfiti (Benedetto si mantiene sempre sulla metà del massimo consentito dal “bio”), per la conservazione dei profumi varietali che riconducono alla riconoscibilità del terroir e soprattutto per l’innata longevità.
Due le annate in degustazione: 2017 e 2016. Una all’opposto dell’altra. L’annata 2016 ebbe temperature basse, estati asciutte e fresche, acidità alte. La 2017, la ricordiamo tutti, estate rovente e assenza totale di piogge. In entrambe è spiccata la sensazione varietale, una dolce buccia d’arancia, frutta secca e zafferano. Nella più giovane rileviamo più estrazione e minore acidità; nella 2016 più freschezza e più eleganza verticale.
Vigna di Mandranova:
vitigno e territorio insieme
È la volta del cru Vigna di Mandranova, nell’appezzamento più antico della tenuta a 600 metri di altitudine, ormai da tempo posizionato nell’Olimpo dei Catarratto top di Sicilia. Identitario blend tra potenzialità del vitigno e peculiarità di territorio.
Tre le vendemmie: 2017, 2016 e 2015. Quest’ultima l’unica che fa solo acciaio. Davvero curioso come la più “vecchia” emani aromi che ricordano il legno, sentori terziari netti, fragranti e ben delineati, mentre le altre no. La 2017 fu un’annata rovente; la 2016, invece, equilibratissima. La 2015 un mix tra le due ultime. Dorato e profondo il colore della 2015, paglierino e con riflessi verdolini quello della ’16 e della ’17. Ricordi di mela Smith, pesca gialla, cedro e bergamotto vengono impreziositi da venature di pietra focaia, pepe bianco e ginger. La bocca è ampia e di buon corpo, fragrante e verticale, di lunga persistenza. Avvolgenza e poliedricità si districano tra freschezze e mineralità.
Il Catarratto? Un perfetto strumento naturale, un meraviglioso e indovinato dono di Dio a Camporeale. Un vitigno che si rivela capolavoro di compiutezza territoriale e che eleva l’anima attitudinale della famiglia Alessandro.