VIAGRANDE (Ct) – È un cavolo rapa appartenente alla famiglia delle brassicacee, è di piccole dimensioni, la sua parte edule presenta venature color viola, colore tipico di alcuni vegetali dell’Etna, e come tutti i suoi simili contiene tante proprietà benefiche, ma anche un sano potere depurativo. Stiamo parlando del cavolo trunzo, simpatico epiteto col quale gli abitanti di Catania dileggiavano e schernivano quelli di Aci, protagonista assoluto ad inizio Novecento tra i mercati ortofrutticoli del capoluogo, che conosce un periodo di declino dagli anni ’40 poiché produzione non redditizia. Coltivato in due momenti dell’anno, in primavera tra maggio e giugno, e in autunno tra ottobre e novembre, dal 2012, per fortuna, questa crucifera dalle proprietà benefiche e dalla singolare bontà è diventata presidio Slow Food. Ricchissimo in sali minerali e in vitamine, particolarmente salutari per il benessere degli occhi, dell’apparato osseo e di quello digerente, quest’ortaggio apporta pochissime calorie (27 per 100 g), ha un enorme potere detossificante e previene la formazione di diverse neoplasie. Cucina contadina, dunque, se si sente parlare di cavolo trunzo, così come di tutti quegli alimenti poveri di una volta soppiantati negli ultimi 30-40 anni dalle spasmodiche ricerche, a volte pindariche, della cucina moderna. E così è stato alla cena “Sa-po-ri” del ristorante iPalici del Relais San Giuliano di Viagrande in provincia di Catania, dimora storica riconosciuta e partner del FAI. Cena ad un unico ingrediente, dall’entrée al dessert, dove assoluto protagonista è stato proprio il cavolo trunzo, superfood delle tavole catanesi, declinato in preparazioni attraverso tutte le sue componenti edibili col risultato dello scarto zero. Un singolare crocicchio di temi quello dell’attenzione maniacale alla sostenibilità alimentare e quello architettonico della location. Recentemente, infatti, la meravigliosa struttura del relais San Giuliano ha ricevuto il premio “CarlottaxArchitettura2021” per la straordinaria ristrutturazione del Palmento del Serra, oggi raffinato lounge bar, a seguito della ricostruzione di quella che un tempo era l’abitazione residenziale dei Marchesi di San Giuliano, splendida residenza della campagna catanese immersa tra filari d’uva e frutteti. Filiera corta e stagionalità dei prodotti dell’orto, dunque, sono i valori che lo chef GaetanoProcopio ha portato con sé da tutte le sue precedenti collaborazioni, fin qui sempre legate alla terra e alla prosperità della biodiversità jonico-etnea. Un percorso di degustazione, quello a sette portate dello chef (ma lui col cavolo trunzo ne riesce a declinare addirittura 40, ndr), in cui la brassicacea acese ha mostrato tutte le sue qualità «riuscendo ad emozionare, regalando attimi di felicità nel momento in cui riporta alla mente quando si era bambini – dice lo stesso executive Gaetano Procopio – considerati anche tempo e dedizione dei coltivatori che si adoperano non poco affinché arrivi nelle nostre cucine in forma smagliante». Una carriera, quella di Procopio, iniziata quando aveva soli 13 anni in un piccolo ristorantino. È qui che capisce di essere affascinato dal mondo della cucina. A 18 anni lavora a La Pergola di Heinz Beck, oggi Tre Stelle Michelin a Roma. Poi un’infinita sinusoide di saliscendi Nord-Sud tra stellati ed alberghi cinque stelle lusso: Cortina d’Ampezzo, Taormina, Zafferana Etnea, addirittura Sofia in Bulgaria, fino ad arrivare a maggio scorso a Viagrande all’attuale iPalici del Relais San Giuliano, in cui riesce ad esprimere appieno la sua filosofia del green, del sostenibile, del biologico, della filiera corta di ortofrutta e del conseguente rispetto per l’ambiente. Per lui, figlio di produttori agricoli, custode e portatore sano di tradizioni del suo comprensorio, è la chiusura di un naturale cerchio: un reale legame al territorio che, al di fuori della Sicilia, straordinario e variegato continente gastronomico, non era possibile attuare. Un’affinità quella con la sua terra che lo vede testimone e trasduttore della tradizione isolana verso le generazioni future. Sette le portate della cena, dicevamo. A cominciare dall’informale Welcome in Chips servito tra le comodità del lounge bar: piccoli filamenti sottilissimi di cavolo trunzo serviti croccanti e insaporiti di sommacco, polvere dal delizioso potere acidulante, in abbinamento al Metodo Classico brut di Palmento Costanzo. Segue l’entrée, Ninfea d’autunno, una insalata di cavolo trunzo di Aci, sesamo nero tostato, estrazione di acqua, olio al sesamo e polvere viola di trunzo. Deliziosa circa l’equilibrio sempre sulla corda tra la tendenza dolce dell’ortaggio e quella acida dell’aceto balsamico bianco con cui è stata condita. In abbinamento l’Etna Doc “Bianco di Sei” di Palmento Costanzo. Assoluto, un flan, crocchette, foglia, estrazione di acqua. Gustosa interpretazione del cavolo trunzo coniugata in più consistenze nello stesso piatto. Pasta e cavolo: mezzo pacchero, aglio, olio e peperoncino, acqua di foglie, crema di cavolo trunzo e spuma di trunzo affogato. Cottura al dente straordinaria e piena esaltazione della vera essenza del cavolo trunzo. In abbinamento il bianco Etna Doc “Contrada Cavaliere”. La quinta essenza: filetto di cavolo trunzo cotto al vapore, umami di datterino, umami di porro, origano e foglia croccante. In abbinamento un cru rosso, l’Etna Doc “Contrada Santo Spirito”, sempre di Palmento Costanzo. Per finire, Cornucopia, cialda di cavolo trunzo, ricotta di mandorla, arancia candita e basilico; e Trinacria, ravioli di carpaccio di cavolo trunzo con ripieno di cavolo e mele dell’Etna, riduzione di Carricante, gambo candito e brunoise.