CAMPOREALE (Pa). Se non gli fai le specifiche è come dire nulla: ha tre cloni e tra loro addirittura alta dissomiglianza. È stato base Marsala, maltrattato ed estirpato a vantaggio di Chardonnay e Cabernet Sauvignon, e per anni vitigno massivo. Diciamo pure quasi insignificante.
Catarratto:
longevità e poliedricità
Stiamo parlando del Catarratto, uva a bacca bianca di cui la Sicilia è zeppa: 36 mila sono gli ettari su circa 100 mila totali. Secondo vitigno più coltivato in Italia dopo il Trebbiano. Quello dell’azienda di Alessandro di Camporeale, oggi coniugato in tre differenti espressioni, è davvero un fulgido esempio di longevità e poliedricità, in un territorio ad alta vocazione elettiva, legato quasi indissolubilmente al vitigno in questione.
Tre diverse versioni, tre biotipi di Catarratto, tre differenti zone produttive, quattro diversi vigneti e tre esposizioni solari. Tutte variabili in grado di comporre vini dalle soluzioni sfaccettate.
Tre i cloni dicevamo: Comune, Lucido ed Extralucido. È su quest’ultimo che Anna, Benedetto e Benedetto Alessandro hanno concentrato i loro sforzi per dare alla luce il nuovo spumante da Catarratto che proprio da qualche ora ha visto i suoi natali. Un’uva che ha sentori di spezie, una spiccata frutta, alcol basso e un notevole corredo di acidità.
Il vigneto? È lo stesso del tanto di lodi tributato Catarratto cru. Addirittura di uno stesso vigneto la porzionatura: la parte alta destinata al Vigna di Mandranova, quella a valle al Metodo Classico di recente fattura.
«Una scelta obbligata – dice Benedetto Alessandro, enologo di famiglia. È stato come se ce lo avesse chiesto il vigneto stesso. Non avendo irrigazione, lo stress idrico stimola la maturazione. La parte inferiore, invece, rimane sempre con gli zuccheri bassi. Da qui l’idea di fare il Metodo Classico».
Millesimo 2016,
riposa 36 mesi sui lieviti
Bella la bottiglia. Elegante, di stile, fascinosa. Dress total black. È il colore dell’eleganza. Dice molto di sé, di cosa contiene, perché presagisce complessità di emozioni e di percezioni sensoriali che pronosticano grazia e profondità.
Millesimo 2016. Sei i mesi di affinamento in acciaio e circa tre-quattro settimane di rifermentazione. Poi lo spumante va a riposo per 36 lunghi mesi. In questo primo caso da marzo 2017 a febbraio 2020.
Chi scrive ha avuto la fortunata possibilità di vederlo svilupparsi nel corso di questi anni. Le “ecografie” degustative fatte quando il nascituro aveva dodici, venti e ventiquattro mesi denotavano una crescita sana e il progressivo assestamento di sensazioni faceva presagire un preciso compimento d’opera, oggi a tre anni di distanza perfettamente concretizzato.
Sfoggia brillante un giallo paglierino che ha riflessi verdognoli, sintomatici di giovinezza e di corredo acido importante. Piccole bollicine costanti e durevoli salgono instancabili in superficie dal vertice basso del calice.
Pochi i rilievi di fragranza e di pasticceria, tipici, ad esempio, negli Chardonnay o Pinot Noir. Anzi, percettibili a dire il vero. Ma sono solo una quinta rispetto ai più evidenti e manifesti aromi varietali del Catarratto prevalgono tantissimo sulle “croste di pane” e sul “pan brioche”. Predomina la potente matrice dell’uva. Vince il territorio. Ed è tutta nota di merito per la Sicilia.
Scivolano via una dietro l’altra delle seducenti note agrumate di cedro e di pompelmo. Poi pesca, pepe bianco, zenzero candito e una solleticante pungenza di erbe aromatiche da macchia mediterranea si mescolano ad accenti di tostatura e torrefazione. In bocca lascia il segno. Esplode la freschezza. Le infinite bollicine notate prima presagiscono dinamicità al gusto che ritroviamo puntualmente e che corroborano un finale lungo che rievoca il fruttato. Una nota da segnalare: un lieve ricordo amarognolo affiora in retrolfazione. Accessorio gradevole, lo sottolineiamo. Il motivo? I tanti polifenoli di questo Catarratto che lo preserveranno e gli consentiranno parecchia strada evolutiva.
Esame superato.
Chiudiamo ribadendo ancora una volta quanto il vitigno Catarratto sia un perfetto strumento naturale, un meraviglioso e indovinato dono di Dio a Camporeale. Un’uva che si rivela magnum opus di compiutezza territoriale e che da anni eleva l’anima vocazionale della famiglia Alessandro.