SIRACUSA. C’è un piatto per il quale i nostri antenati andavano matti. Un prodotto ricavato dalla fermentazione delle interiora di pesce e di pesce esposto al sole e lavorato col sale. Una descrizione che potrà non sembrare salutare a tavola, ma di cui perfino i Romani ne andavano ghiotti. E’ il garum.
Cos’è il garum
Era una salsa di pesce abbastanza costosa, adoperata nelle preparazione di piatti nell’antichità. Antonella Leone, docente siracusana, specializzata nella valorizzazione dei beni archeologici, per orogastronomico, fa un excursus storico e svela alcune curiosità. In prossimità uscirà il suo nuovo libro sulla storia e sugli aneddoti delle “Tonnare in Sicilia“.
La preparazione del garum
Misteri del gusto che ritroviamo tutt’oggi sulle nostre tavole. Alimenti trattati da esperti della Fondazione Archimede e rappresentanti di Slow Food, nel corso di un workshop “Food e tourismo strategy”, tradizione e innovazione nello sviluppo del territorio, svoltosi a Siracusa. Importante la ricerca e la sperimentazione sul passato del cibo. Il garum era il risultato di una macerazione con il sale che durava circa due mesi, ricavata dalle interiora di sgombri e/o tonni insieme ad altre varietà di pesci.
A fine operazioni si filtrava il tutto, separando il flos dal liquamen di minor pregio. Il migliore era quello ottenuto dalle interiora e dal sangue del tonno. Apprezzato anche il garum nero ottenuto dallo sgombro spagnolo. Il garum aveva anche un uso medicinale: si riteneva che stimolasse l’appetito, fosse dotato di alto apporto proteico, aveva, altresì, diverse proprietà curative.
Tutti gli eredi del garum romano
Chi l’avrebbe mai detto che la colatura di alici di Cetara, in Campania; il machetto ligure, passando per la bagna cauda piemontese, l’acciugata toscana e la salsa veneta, sono i lontani parenti del garum. Qualcuno sostiene che il garum sia il progenitore dell’attuale pasta d’acciughe, in ogni caso, per chi volesse assaggiarlo, ancora oggi esistono molte salse di pesce molto simili, utilizzate nelle gastronomie di tutto il mondo come quelle vietnamita, laotiana, thailandese, cambogiana, filippina, cinese ed altri paesi del Sud-Est Asiatico.
Il garum prodotto in Sicilia
Il “garum” veniva prodotto anche in Sicilia. Antichi stabilimenti in Sicilia per la lavorazione del tonno sono citati in diverse fonti, con chiare tracce sul terreno: vasche disposte in serie lungo la riva del mare, con frammenti di anfore che evidenziano il loro utilizzo anche come contenitori di garum, apprezzatissima salsa, diversamente dal tarichos, che invece era il pesce salato.
In pochi sanno che atterrando o decollando dall’aeroporto Falcone Borsellino di Palermo sorvolano un impianto di epoca romanica di trasformazione del pesce per fare il “garum”. Nei pressi della Torre Molinazzo, sulla punta Raisi all’estremità meridionale delle piste aeroportuali, si possono ammirare almeno otto vasche quadrate in pietra ed una circolare nei pressi di uno scivolo naturale che porta a mare. Alcune di esse sono parzialmente coperte dai resti di un molo edificato successivamente è stato possibile datare le vasche tra il III ed il IV secolo d.C.
Tutti gli eredi del garum romano
Dal V secolo a.C. soprattutto in epoca imperiale, i ricchi romani si appassionarono alla cucina a base di pesce e di salse prodotte con diverse varietà macerate. Apicio nel De re coquinaria condisce con il garum almeno 20 piatti. Ne descrive un’ampia varietà di salse, alcune più semplici a base di ingredienti bolliti nel vino: uva passa, pepe, levistico, origano, cipolla, garum ed olio, che si versava sul pesce arrostito o lessato. Oppure una salsa più complessa fatta di aceto, vino, garum ed olio aromatizzato con pepe, levistico, ruta, pinoli tritati e miele.
Plinio il Vecchio in Naturalis Historia, definisce il garum “liquor exquisitus” e che il migliore era quello fatto con gli sgombri. Tra le ricette di cucina più frequenti dell’antichità, troviamo il pesce già cotto e tritato finemente, insaporito con pepe, ruta, garum e poco olio. Il composto era cosparso di ortica marina che doveva rimanere in superficie e non mescolarsi per poi cuocersi a vapore. Si fa menzione in diversi libri perfino di un utilizzo medicale del garum relativo alla guarigione di ulcere, dissenteria, morsi di cani e malanni delle orecchie. Rievocazioni a parte, questa pietanza è sopravvissuta nella gastronomia con preparazioni molto particolari.
In Campania, la colatura di alici
Un erede è quello della colatura di alici di Cetara, in Campania. In questo caso le alici vengono private della testa e delle interiora, e tenute per 24 ore in contenitori con abbondante sale marino. Sono quindi trasferite in piccole botti, i terzigni, alternate a strati di sale e ricoperte da un disco di legno sul quale sono collocati dei pesi. Dalla pressione alla quale vengono sottoposti i pesci si estrae un liquido che poi viene messa al sole per consentire l’evaporazione dell’acqua. Dopo circa quattro o cinque mesi, di solito tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, il liquido raccolto viene nuovamente fatto filtrare nel terzigno attraverso le alici. La colatura viene di solito utilizzata per condire a crudo spaghetti o linguine (che i Romani non avevano), assieme ad aglio, prezzemolo, peperoncino e olio extravergine d’oliva.
In Liguria il machetto
In Liguria, in provincia di Imperia. Si tratta del machetto, in cui le sardine vengono tritate o pestate in un mortaio e disposte in vasi di vetro (“arbanelle”), mescolando qualche minuto ogni giorno, fino a ottenere una pasta omogenea, con l’aggiunta finale dell’olio extravergine d’oliva per la conservazione sott’olio. Il machetto viene in genere utilizzato per condire gli spaghetti, il pesce bollito, oppure la locale piscialandrea. Molto simile al machetto ligure è anche il peissalat provenzale e catalano.
In Piemonte arriva di “contrabbando”
E fu proprio la ricetta ligure a influenzare la celebre bagna cauda (o bagna càôda) piemontese. Merito degli acciugai piemontesi, venditori di alici sottosale che, fin dal Medioevo, si recavano in Liguria e alle foci del Rodano per acquistare il sale a prezzi accessibili, per poi rivenderlo in patria a prezzi più alti. E facendolo arrivare spesso di contrabbando, nascondendolo sotto strati di alici e gabbando così i doganieri francesi e genovesi. Nacque così la famosa salsa a base di acciughe, aglio, olio extravergine d’oliva e burro.
In Toscana si sposa con la bistecca
In Toscana è invece sopravvissuta l’acciugata, particolarmente ad Arezzo e nel Valdarno. Più che l’erede del garum, però, in questo caso sembra un particolare modo di lavorare l’acciuga sottosale. Le acciughe, infatti, vengono cotte in una pentola con olio extravergine d’oliva e capperi a fuoco a moderato, fino a ottenerne il disfacimento. L’abbinamento ideale è con la carne: nasce così la celebre bistecca con l’acciugata.
In Veneto note dal gusto delicato
Si avvicina al garum la salsa d’acciughe veneta, a nozze con i bigoli. Si fa soffriggere della cipolla nell’olio extravergine d’oliva e si uniscono le alici dissalate e deliscate, stemperando poi con del vino bianco. Il cremoso “saor” avrà un gusto delicato, lontano dalle note più forti del garum romano.