
PALERMO. Se lo chiedevano in tanti. E in tanti avevano la curiosità di sapere come mai ancora non ci fosse tra gli altri il Perricone.

Era solo questione di tempo, di lunghi studi, di prove tecniche di territorio per puntare all’optimum, ma anche la famiglia Alessandro di Camporeale, stimatissima e ormai da un quarto di secolo longeva produttrice dell’areale della Doc Monreale, da oggi può finalmente schierare nel già ricco novero della squadra delle etichette anche il Perricone, quell’ex vitigno reliquia che oggi assieme alle diverse declinazioni di Catarratto, tra Metodo Classico, Benedè e Mandranova, oltre che ai Syrah Monreale e Kaid rosso assieme alla vendemmia tardiva, rappresenta una forte scommessa per il neonato disciplinare della denominazione palermitana, che ha scelto di scommettere su autoctoni meno titolati di Grillo e Nero d’Avola.

Doc Monreale: Perricone nel segno della rinascita
Siamo nel territorio a sud-ovest del capoluogo regionale, in un’area vastissima estesa tra i 300 e i 600 metri d’altitudine sui vecchi confini dell’antica diocesi dei Normanni e oggi questa denominazione rivive una seconda vita dopo l’istituzione del consorzio nel 2000. Un’operazione assennata quella della “nuova” Doc Monreale che sta pian piano puntellando il suo mosaico di promozione, attraverso un oculato piano di rivalorizzazione che restituisca piena dignità ai suoi vini d’alta collina che affondano le loro radici nel Medioevo.
Ed è proprio alla Doc Monreale che appartiene la nuova etichetta della cantina Alessandro di Camporeale che prende il nome dalla contrada giacente attorno alla cantina: il Monreale Perricone Mandranova.

C’è fierezza negli occhi dei tre cugini Alessandro, nei due Benedetto, uno enologo, l’altro responsabile marketing e commerciale, e in quelli di Anna che si occupa delle “carte”, come lei stesso ama dire di sé. Per loro è nato un figlio atteso da tanto, dal momento che il Perricone rappresenta fortemente il marker identitario della Sicilia occidentale.

Da destino compromesso a identità territoriale
E l’orgoglio è ancora più forte se si pensa che un tempo non tanto lontano, quando la “quantità” era obiettivo principale per produrre vini da taglio, i vitigni meno produttivi come il Perricone venivano messi ai margini. La storia del Perricone in Sicilia per molti anni ha avuto a che fare con questa forma mentis di concepire la viticoltura in Sicilia.

Il periodo aureo del Perricone è stato sul finire dell’800 quando entrava nella versione “Rubino” del Marsala donando eleganza e profumi, oltre alla componente tannica importante per l’invecchiamento. Poi l’arrivo della fillossera e la prima grande crisi che ne segna il declino, fino ad un inarrestabile susseguirsi di espianti. Dai circa 34.000 ettari del XIX secolo ai poco più di 300 di oggi. È storia di Sicilia.
Il rilancio e la nuova linfa
Il rilancio vero inizia solo pochissimi anni fa, quando si dà slancio ai vitigni reliquia e il Perricone dà nuovo impeto e nuova personalità alla viticoltura isolana. Aveva il destino segnato finché un piccolo gruppo di vignaioli, con la pioniera Mirella Tamburello in primis, inizia a recuperare i vecchi vigneti e a riprenderne la vinificazione, sia in assemblaggio sia in purezza

Due i suoi biotipi, A e B. Il primo, prevalente nel Trapanese, con acini di grandi dimensioni e di elevato peso medio, ha una gradazione zuccherina dei mosti superiore alla media; il secondo, prevalente nel Palermitano, ha l’acino di grandezza contenuta e peso medio inferiore, con gradazione zuccherina ridotta rispetto al biotipo A.
Al netto di minime differenze tra i due “fratelli” il Perricone esprime bene i suoi profumi intensi e complessi, la sua struttura, il suo carattere speziato elegante e quelle note che ricordano spesso la grafite, l’inchiostro e quell’inconfondibile carattere vegetale, spesso attenuato dalla selezione di uve mature.
A volte ostico e scontroso per via del suo tannino fitto, ha un tallone d’Achille nella imprevedibilità climatica che ne può compromettere lo stato fito-sanitario e la qualità. E per questo grossa attenzione è dovuta dai produttori alle due maturazioni, tecnologica e fenolica.
Resveratrolo, il grande “amico” della salute

Non è da trascurare la presenza della molecola del “resveratrolo”, un benefico polifenolo e bioflavonoide, potente anti-ossidante che difende dai radicali liberi dannosi, toccasana per il cuore poiché mantiene elastiche e flessibili le arterie, neuro-protettivo e anti-aging. Si pensi che le sue concentrazioni sul Nero d’Avola sono pari a circa 0,3 mg/l, mentre il Perricone vola a 14,2 mg/l. Ben 50 volte superiore.

Alessandro di Camporeale è alla quarta generazione e oggi la missione rientra a pieno titolo nella valorizzazione del territorio attraverso un impegno quotidiano e una visione sostenibile della sua produzione, sempre rivolta all’eccellenza qualitativa, che insiste su 40 ettari di terreno su suoli calcareo-argillosi e sabbiosi e un clima quasi continentale e molto ventilato, essendo Camporeale praticamente equidistante circa 50 chilometri sia dal mare di Palermo sia da Trapani, con forti escursioni termiche notte-giorno che alimentano la ricchezza aromatica dei vitigni.
In vigna vige un autoritario riguardo dei valori di tradizione e del territorio, secondo tecniche che rispettano i principi dell’agricoltura biologica. Si utilizza la tecnica del sovescio, per favorire la fertilizzazione del terreno e preservarlo da fenomeni erosivi. Vengono attivate misure a sostegno della biodiversità, come l’impianto di siepi e arbusti o la realizzazione di cumuli di pietre vicino ai filari per consentire l’insediamento di organismi preziosi nel contrastare i parassiti.
In cantina, invece, massimo rispetto per la materia, predisposto ad esaltare le caratteristiche varietali e identitarie dei singoli vitigni e del territorio. Un lavoro costantemente supportato da costante aggiornamento e ricerca di miglioramento dei processi produttivi, sempre nel segno della tradizione tramandata da generazioni.

Monreale Perricone Mandranova 2023: la degustazione
Il vino è composto da un saldo di Nero d’Avola del 10% appena. Siamo su terreno calcereo-argilloso con presenza di sabbie e scheletro a 500 metri d’altitudine. Un impianto innestato nel 2017 a controspalliera allevata a guyot. Ben 5.400 le piante per ettaro, con una resa di 80 quintali. Grappoli raccolti a fine settembre. Fermentazione per 12 giorni in acciaio in vasche troncoconiche ad una temperatura di 26-28 °C con follature giornaliere. Malolattica svolta con batteri lattici indigeni. Matura 8 mesi in vasche d’acciaio, mentre una piccola parte va in tonneau di rovere francese. Affina in bottiglia ad una temperatura costante di 18 °C per almeno 6 mesi.

Al calice mostra una intensa fittezza di matrice antocianica con tonalità violacee. Al naso è attraenza. Accattivanti note classiche di frutti rossi scuri come marasca, mora di rovo, prugne, ciliegie e frutta matura. Intrigante l’amalgama di spezie, nere come bacca di ginepro e pepe nero, dolci come cannella e chiodo di garofano, oltre a qualche accenno alla vaniglia e alla mandorla dolce. Una mai sgarbata balsamicità di resina e macchia mediterranea impreziosisce il già seducente lignaggio olfattivo.

In bocca qualche piccolo, forse ovvio, segnale di crudezza gustativa anticipa un sorso deciso, di piena corrispondenza biunivoca tra odori e aromi di retrolfazione circa frutta, spezie e sensazioni vegetali.
Una risoluta spalla acida accompagna un tannino deciso e calibrato allo stesso tempo, foriero segnale di un’assoluta e gradevole sensazione di piacevolezza. Distinto. Mai sgarbato. Calibrato. Da pensare intensamente abbinato a tagliatelle al ragù alla Palermitana, pasta al forno, salsiccia alla pizzaiola, caponata siciliana, baccalà alla ghiotta, sciavata e sfincione rosso.