Nestlé: meno della metà dei prodotti è sana. I prodotti Nestlé sono tra i più amati dai bambini ma più della metà di questi sarebbero da evitare perché non sani. È quanto emerge dal rapporto annuale del colosso alimentare svizzero e messo in evidenza dal Financial Times.
Nestlé: meno della metà dei prodotti è sana
Il colosso alimentare Nestlé dal 1866 si occupa di fornire carica ai piccini e ai grandi grazie alle loro proposte per la prima colazione e per gli snack. Dal rapporto annuale del colosso alimentare svizzero messo in evidenza dal Financial Times è emerso che meno della metà dei prodotti si può definire salutare. Nel documento si spiega che cibo e bevande che valgono il 54% dei ricavi del gruppo – ad eccezione delle linee che interessano il cibo per animali, l’infanzia, vitaminici e prodotti per esigenze nutrizionali particolari – vantano una pagella inferiore a 3,5 stelle. Un voto dato con il sistema di classificazione Hsr, un riferimento per questo genere di valutazioni. Secondo quanto dice la non profit Access to Nutrition Initiative, significa avere una valutazione che non può permettere di considerarli “sani” nell’accezione comune. Il voto viene dato tenendo in considerazione i livelli di grassi saturi, zuccheri e sale nei singoli prodotti; e anche la presenza di ingredienti che invece portano in positivo il bilancio come fibre, frutta e verdura.
Un business non sano
Il quotidiano britannico ricorda che questa trasparenza arriva dopo un pressing degli azionisti e delle associazioni che chiedono che queste informazioni siano maggiormente veicolate ai consumatori. Holly Gabriel, attivista degli investimenti responsabili con ShareAction, ha infatti commentato positivamente la scelta di Nestlé di dare evidenza di questi dati. D’altra parte ha rimarcato che ancora il gruppo dipende troppo, nel suo business, da prodotti non salutari. Il ceo Mark Schneider, il mese scorso, aveva spiegato agli analisti gli sforzi e i progressi fatti per ridurre gli ingredienti dannosi dai suoi prodotti. D’altra parte, l’inflazione e gli aumenti dei costi hanno da una parte alzato l’asticella della produzione delle aziende e anche impattano sui consumi, suggerendo prudenza ai manager sui grandi cambiamenti.