CAMPOREALE (Pa) – È iniziata col botto la settima edizione del Camporeale Day. Visite alle cantine del comprensorio, al Parco Archeologico del Monte Jato ed una straordinaria degustazione molto interessante di diverse espressioni di Catarratto dell’azienda Alessandro, declinato tra Metodo Classico e due versioni di fermo, una in acciaio e una (tre annate: 2018, 2017 e 2016) con una leggera maturazione in legno tra gli 8 e i 14 mesi, a seconda dell’anno di vendemmia, per parte della massa. Al tardo pomeriggio una stimolante masterclass, ben condotta da Luigi Salvo, delegato Ais Palermo e giudice enologico internazionale, che ha messo in parallelo territori lontani, ma accomunati da un vitigno: il Syrah di Camporeale e quello dell’Australia, dove in realtà è noto come Shiraz. Quest’ultimo è cosa recente e s’è riuscito in poco tempo a ritagliare una notevole porzione di notorietà con un veloce sviluppo in qualità. Quarantamila gli ettari, secondi solo alla Francia per produzione. Rappresenta il 25% del vitigno Australia che, paradosso, oltre ad avere i vigneti più antichi di questo vitigno (1843 Langmeil, Barossa, ndr) ne produce più di quanto ne consuma. Da qui un massiccio export verso gli Usa con un ottimo rapporto qualità-prezzo. In Sicilia, invece, è presente in diverse denominazioni. Si ha il boom negli anni ’90, arrivato ben dopo le prime testimonianze rilevate a Carmignano, in Toscana. Un a-prima-vista incauto parallelismo tra produzioni di due areali diametralmente opposti quello tra Camporeale e Australia. Ma nulla è per caso e la masterclass è servita per delineare parametri e caratteristiche del vitigno internazionale più diffuso in Sicilia. Particolarmente vocato da queste parti, trova analogie attitudinali con la sola Cortona, paesino in provincia di Arezzo, con la quale detiene il primato qualitativo. Quantitativamente, invece, con 4.500 ettari (4,5% dell’intera produzione della Sicilia), il Syrah ha in Camporeale l’allevamento maggiore di tutta Italia. Se a prima vista, però, il confronto Australia-Italia può essere sembrato improvvido e sconsiderato, in seconda battuta e a degustazioni ultimate, si è evinta in maniera inequivocabile l’importanza del terroir per questo vitigno in Sicilia, cioè il rapporto che lega un’uva al microclima e alle caratteristiche del suolo in cui è coltivato. Capiamoci, sia chiaro. Due modi straordinari di intendere e valorizzare una stessa varietà di uva, quasi a sottolineare la poliedricità naturale di un vitigno straordinario, oggi inequivocabilmente collocabile tra gli autoctoni di Sicilia. Ma mentre il Syrah nostrano mette in generale in evidenza uno stile prettamente a paradigma europeo, ossia più genuino, fresco, varietale che prevede prettamente acciaio o, al massimo, qualche passaggio minimale in legno e che fa risaltare genuinamente il lavoro in vigna, risultando a naso e palato importante, ma anche dritto, versatile e facilmente fruibile, quello d’oltreoceano appare ai nostri gusti tosto, imponente, molto rotondo, orientato ad incontrare un mercato americano che ama le ricchezze di struttura, le ridondanze nel bicchiere, le sensazioni spiccatamente vanigliate e una generale morbidezza gustativa, frutto di lavoro di cantina, che preveda al massimo un’accennata presenza in sordina del tannino. Otto espressioni, alternate una ad una. Risultato? Pari e patta. Nessun vinto, solo vincitori. Anzi, 4-4. O forse sì, leggera preferenza campanilistica nel complesso. Due tra i palermitani e due tra gli australiani i più gettonati. Grazie alla magnifica adattabilità di questa varietà (il Syrah vive con grandi espressioni di sé in mezzo mondo: Europa, California, Sudafrica, etc.), s’è potuto constatare la coerenza territoriale delle espressioni camporealesi. Vini che, a quattro a quattro, oltre ad esprimere l’odore pungente e decisamente inconfondibile del pepe nero, peculiare del vitigno, grazie alla molecola poco volatile del Rotundone, hanno raccontato da un lato i territori e dall’altro la filosofia produttiva e commerciale.
I palermitani hanno matrice spiccatamente floreale e fruttata, caratterizzata da dolcezza e da succosità di frutto, con lievi accenni di evoluzione (erano pur sempre tutte 2017, dunque giovani), mentre sugli australiani, un po’ più tridimensionali, erano evidenti colori più scuri, frutta matura, vaniglia, nota mentolate e balsamiche, note tostate di cioccolato e speziate tra cannella e liquirizia. Lettura più semplice, quest’ultima, che però in termini commerciali ha sicuramente molto successo. Syrah (e Shiraz) in degustazione sequenziale, tutti 2017: · Azzolino Di’More · Houghton Crofters · Paoletti Altura · Peter Lehmann The Barossan · M nr l Alessandro di Camporeale · McLaren Vale Silver Hammer Maxwell · Sallier de la Tour La Monaca · Cape Mentell Western Australia
Wine&Beer
Syrah, dall’Italia all’Australia: al Camporeale Day un viaggio tra filosofie e stili produttivi diversi
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